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La coscienza individuale si può considerare, come la fase o la foggia più elevata della coscienza umana.
Nell'aspetto inferiore dell'uomo si identifica la coscienza personale, quando egli, offuscato dalle cose materiali e abbagliato dal mondo oggettivo si immedesima con la personalità tanto da non riconoscere, anzi, negare il suo vero essere.
L'uomo si concentra oggettivamente e riconosce il suo vero io, prendendo quindi coscienza della sua individualità, solo quando si rende conto che né il corpo, né le emozioni, né alcuno dei sui pensieri sono realmente il suo essere.
Nella concentrazione oggettiva, detta dai psicologi introversione, e rimanendo se stesso nel suo intimo, potrà notare che l'Io può scindersi in due aspetti distinti.
Questi due aspetti sono l'"io" e il "me".
Solo in questo modo si può capire l'attuazione dell'Io su se stesso, e la fattibilità che l' "Io" si identifichi con l' "io" (nell'introversione), così espressa l'identificazione sembra una cosa superflua, mentre se si identifica dell'"Io" con il "me", assume il carattere di logica razionale.
Chi non l'avrà per introspezione sperimentata, la scissione dei due aspetti dell'individualità, "Io" e "Me" sembrerà irreale e fantasiosa; mentre è una verità evidente per gli studiosi di questo "strano" fenomeno psicologico.
L'Io è l'aspetto maschile; il Me, quello femminile.
L'Io prende ugualmente il nome di individualità, mente attiva, coscienza operante.
Il Me si denomina anche coscienza ricettiva, mente passiva o personale.
Quasi tutta l'umanità quando dice "Io", si riferisce al "Me".
La coscienza che abbiamo del nostro corpo fisico con le sensazioni in essi prodotte dai sensi si identifica nel Me.
Gli esseri umani più arretrati nel loro sviluppo spirituale, fanno convergere la loro coscienza nell'aspetto fisico e materiale della vita; vivono nella loro personalità.
Altri ancora, avendo un maggiore grado di arretratezza, stimano tutta loro roba, la mobilia, il guardaroba e tutti i gingilli personali, parte integrante del loro essere.
L'uomo evoluto, scinde dal suo corpo fisico l'idea del Me,considerandola non più parte integra del suo essere, bensì come uno strumento di espressione e manifestazione di cui si serve nel corso della sua vita terrena.
Indubbiamente l'uomo si identifica con le sue emozioni, idee, soddisfazioni e il ripugna fin tanto che si accorge che anche questi stati d'animo e di mente sono sottoposti a mutamenti e alle leggi e dell'attrazione.
Ci si può chiedere cosa sia lo spirito di un popolo; in coerenza con la definizione cartesiana secondo la quale "Spirito" è sinonimo di "intelletto" o "ragione", la domanda potrebbe essere girata così: "Esiste nel popolo una ragione comune?"
Una risposta potrebbe essere questa: "Può esistere nella valutazione collettiva alcuni valori di natura morale; può però non esistere per una infinità di altri valori o prodotti dell'intelletto che siano oggetto di speculazione collettiva".
Si può avere ragione, ad esempio nell'accettare il principio generale di benevolenza, nell'amore per la patria, nello spirito di fratellanza, etc.; e invece se ne potrà non avere per altri problemi etici (ad esempio nella bioetica e nella socioetica).
Lo Spirito (intelletto o ragione) in altre parole, non è mai ente astratto "per sé", ma è sempre interno a un concetto razionale ben determinato!
E' un pericoloso pregiudizio ritenere che lo spirito (intelletto) sia qualcosa che vada al di là dell'ethos, quasi un denominatore comune di tutte le idee o ragioni dei singoli.
"L'anima universale" quale astrazione di molte cose che riguardano gli uomini: leggi, tradizioni, costumi, usanze, è sempre qualcosa di umanamente riconoscibile, definibile, e qualificabile.
Se ne può dedurre che non esiste uno spirito (intelletto) del popolo astratto in sé, ma soltanto una unione individuale di anime che si riconoscono e che, in alcuni casi e per limitati periodi, possono unirsi a determinare una volontà collettiva.
Lo Spirito (intelletto), alla fine, è sopratutto una manifestazione di volontà.
La definizione di "spirito" rimanda, in breve, alla concezione kantiana di popolo quale aggregato di monadi.
Interpretare lo "spirito" quale ente per sé significa, per conseguenza "logica", definire anche popolo, Stato o istituzione quali enti astratti (e siccome in realtà non lo sono, lo diventano soltanto per la fantasia delle masse).
In questo modo, qualunque sia la determinazione propagandistica del termine "popolo" esso diventa "altro da sé" dal governo; questa, ad esempio, fu la contraddizione che impedì alla "dittatura del proletariato" di affermarsi come continuazione logica della rivoluzione del 1917, e che provocò alla fine - giustamente - il trapasso verso i tempi attuali.
In concreto, quando si dice "spirito di un popolo" occorre sapere sempre di cosa si parla e quali sono i suoi limiti.
Diversa cosa è lo "spirito individuale".
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